Il cambio di paradigma in cui viviamo sposta sempre più sull’individuo la responsabilità di saper sviluppare la propria capacità progettuale per costruire e ricostruire il proprio percorso professionale.
Che significato e che valore assume il termine carriera rispetto al passato per le persone e per le organizzazioni? Le aziende oggi sono ancora in grado di progettare, proporre e garantire percorsi tracciati e “oggettivi” in cui far crescere le persone? E soprattutto le persone oggi che cosa cercano nel lavoro? Si aspettano di “fare carriera”?
Progettarsi e ri-progettarsi è un tema che oggi coinvolge tutte le generazioni che si muovono “dentro e fuori” nelle organizzazioni, seppur con implicazioni diverse per ognuna, e vale sia al maschile sia al femminile, seppur ancora con variabili e differenze significative. È una chiamata alla responsabilità individuale delle proprie scelte di vita, e ci richiede allo stesso tempo di adattarci continuamente agli eventi contingenti, con resilienza e antifragilità, di avere consapevolezza del nostro bagaglio di competenze, sapendole aggiornare e valorizzare, e di mantenere sempre chiaro il nostro focus rispetto all’obiettivo.
Certo che per le donne la sfida è molto più complessa. Infatti, nonostante le numerose iniziative a favore delle pari opportunità, le importanti conquiste di spazi e la presenza delle donne in ruoli apicali e in contesti lavorativi prima impensabili, rimane oggi un dato di fatto che per loro gestire uno sviluppo di carriera o perseguire la propria realizzazione professionale è più complesso, difficile e faticoso, e ancora, molto spesso, richiede di sacrificare una parte dei propri molteplici ruoli e cappelli a scapito di altri. La maternità, familiari e anziani a carico, attività domestiche e figli in crescita rppresentano tappe “vincolanti” nel percorso di vita delle donne. Vincoli che diventano pensieri limitanti, poi atteggiamenti limitanti e poi abitudini limitanti che ad un certo punto della propria vita ci chiamano a fare scelte importanti, a guardarci dentro, a sviluppare consapevolezza e a dare voce a ciò che abbiamo a lungo trascurato, negato e soppresso.
Ci si affida in gran parte solo alla determinazione personale e alle risorse disponibili che le donne stesse possono e vogliono mettere in gioco, tanto più se supportate, piuttosto che ostacolate, dalle condizioni in cui vivono.
Secondo una ricerca della London School of Economics che conferma le ultime proiezioni del Bureau of Labor Statistics americano, nel prossimo futuro le qualità più richieste nel mondo del lavoro avranno sempre più a che fare con l’Intelligenza Sociale, intesa come la capacità di relazionarsi in maniera empatica, profonda e significativa con gli altri. Questo trend è sicuramente legato alla digitalizzazione, lo conferma anche l’Institute for the Future della University of Phoenix che ha individuato le principali skill professionali del 2020.
In un’ottica anche di genere si apre allora una possibile chiave di lettura che vede questo fenomeno come un’opportunità importante da cogliere per le donne, per eccellenza capaci di “prendersi cura” degli altri e delle relazioni.
È dunque proprio ancora vero che “Le brave ragazze non fanno carriera” ? – parafrasando il titolo del libro di L. P. Frankel (2004), un’interessantissima raccolta critica dei 101 errori più comuni che le donne commettono sul lavoro. Che peso hanno i pregiudizi e i significati che attribuiamo storicamente a concetti come carriera e successo? Che impatto ha considerare il concetto di errore come fallimento piuttosto che apprendimento? E ancora “come fare a far tutto?” Come poter stare nei diversi ruoli contemporaneamente attivi? Come poter essere se stesse al 100%?
Nel cammino ancora da percorrere un’interessante tesi centrale è che le donne per avere successo non devono comportarsi da uomo, ma sviluppare il pieno potenziale di essere donna, andando oltre gli schemi imposti dalla società e riscoprendo la propria autenticità.